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Lettera del Direttore Aprile 2020: Le bare di Hart Island e l’applauso per don Giuseppe

Le bare di Hart Island e l’applauso per don Giuseppe

Cari ragazzi, 

il mese di Aprile è il mese di Pasqua. Anche la natura, che in questi strani giorni possiamo vedere solo dal balcone, ci dice che l’inverno è finito e il verde dei platani, che circondano i Baluardi di Novara, ne è la prova.

“Venite, guardate il luogo dove era deposto!”

Con queste parole l’angelo si rivolge alle donne spaventate che sono corse al sepolcro di Gesù nella mattina più buia della storia e della loro vita. I loro sogni e la loro fede nel Signore erano svaniti nel pomeriggio del Venerdì Santo, sotto la Croce, quando Gesù è morto.

L’angelo fa loro guardare una tomba che non accoglie più un corpo, ma dalla quale scaturisce la vita. La nostra fede si basa su questa prova: Gesù è veramente risorto, il sepolcro che ha accolto il suo corpo è vuoto. La vita ha vinto e Lui aspetta i suoi discepoli in Galilea, là dove tutto era cominciato, per iniziare la sua missione di Risorto e promettere che lui “sarà sempre con noi, fino alla fine dei tempi”.

Questa tomba vuota non può non trovare oggi un’immagine opposta, costituita da cimiteri che si riempiono di bare.

Ecco cosa sta capitando a New York e in tanti altri cimiteri, anche vicino a noi.

“Decine di bare interrate nelle fosse comuni di Hart Island, è questa l’immagine choc della pandemia di Covid-19 negli Stati Uniti. Nell’isola nei pressi del Bronx da 150 anni usata come camposanto per i newyorkesi senza parenti stretti o che non possono permettersi un funerale, sono al lavoro gli escavatori per seppellire pile di bare anonime accatastate. 

L’isola di Hart ha in effetti una fama lugubre. La prima funzione pubblica, negli anni Sessanta dell’Ottocento fu quella di campo di addestramento per l’esercito dell’Unione. Da allora, Hart Island è stata la sede di un campo di prigionia della guerra civile, di un manicomio, un sanatorio per la tubercolosi, un riformatorio per minorenni, un carcere, un centro di riabilitazione per tossicodipendenti ma anche il luogo storicamente deputato dalla città a seppellire in fosse comuni i derelitti. Dal 1980 circa 70 mila persone sono state sepolte in fosse comuni. Il cimitero sul mare di Hart si chiama “Campo del Vasaio”, come il terreno che i capi degli Ebrei destinarono a cimitero pubblico comprandolo con i trenta denari prezzo del tradimento di Gesù, che Giuda ha ridato loro prima di togliersi la  vita. 

Sono bare che non hanno un nome. Sono le bare dei poveracci, che hanno vissuto gli ultimi anni per strada. Sono le bare degli ultimi che la ruspa spinge nelle fosse comuni più come “cose” che come persone. Cremarle costerebbe troppo e sarebbe troppo lungo. L’immagine choc ha fatto il giro del mondo: il filmato è stato girato grazie a un drone. Secondo l’amministrazione, con la pandemia, le operazioni di sepoltura nel sito sono aumentate da un giorno alla settimana, a cinque giorni alla settimana, e si è passati da 25 bare a settimana a circa 25 al giorno”.

Dove sono questi sepolcri vuoti? Dove sono le pietre rovesciate? La terra sta accogliendo la morte o liberando la vita?

Eppure, la nostra fede è chiamata a riconoscere che proprio qui il Signore sta scrivendo la nostra storia di salvezza. Perché Pasqua è risorgere donando la vita.

Tra le tante storie dei “santi della porta accanto” ve ne è una commovente che riguarda un sacerdote. 

Un prete “semplice e normale”, un parroco di un paese sconosciuto che non è mai andato sui giornali, ma che è stato vicino alla sua gente ed è andato a trovare i malati e a portare loro la Comunione. 

Si chiamava don Giuseppe Berardelli, 72 anni, morto per il virus all’ospedale di Lovere, nel bergamasco. Quando hanno saputo che si era ammalato i suoi parrocchiani gli hanno regalato un respiratore. Ma lui lo ha voluto donare ad un paziente più giovane, che neppure conosceva. Fino all’ultimo ha realizzato il suo motto: “Anteporre la vita degli altri alla mia”.

Non ha potuto neppure avere il funerale don Giuseppe, ma i suoi parrocchiani lo hanno salutato a modo loro affacciandosi sul balcone di casa quando la sua bara è passata per l’ultima volta tra le strade del paese, salutandolo con un applauso e ripetendo nei loro cuori le parole di Gesù: 

“Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”.

Buona Pasqua ragazzi, con la speranza di avervi presto al San Lorenzo!

Don Giorgio